Skip to content

Servizi e consulenze

Visita oculistica

Oculoplastica è la branca dell’oculistica che si occupa delle malattie dell’orbita, delle palpebre e delle vie lacrimali.

Vuoi un appuntamento?

Verrai ricontattato rapidamente per la conferma.

Oculoplastica è la branca dell’oculistica che si occupa delle malattie dell’orbita, delle palpebre e delle vie lacrimali.

CONOSCIAMO L’OCCHIO NEL DETTAGLIO:
L’orbita è una cavità ossea che contiene l’occhio,i muscoliextraoculari,i vasi,i nervi oculari,la ghiandola lacrimale.
Le palpebre sono delle formazioni laminari pari e simmetriche che ricoprono anteriormente i bulbi oculari e si distinguono per ogni occhio, in palpebra superiore e palpebra inferiore. Pertanto, per la loro posizione, sono considerate le strutture anatomiche
più anteriori dell’orbita da cui sono separate grazie all’interposizione del setto orbitario. All’interno delle palpebre si trovano le ghiandole di Meibonio,di Zeiss e di Moll.
Le palpebre chiuse escludono l’occhio dall’ambiente esterno, funzionando come mezzo di protezione meccanica per il bulbo oculare, favoriscono una corretta dispersione del film lacrimale che contiene sostanze indispensabili per una buona igiene oculare.

Le palpebre possono essere colpite da una ampia gamma di lesioni: blefarite, papilloma squamoso, granuloma, xantelasma, calazio, orzaiolo, mollusco contagioso, cheratosi seborroica, dermatiti, corno cutaneo, verruca volgare, entropion, ectropion, ptosi congenita ed acquisita, blefarospasmo, blefarocalasi, tumori benigni e maligni, traumi ed ustioni.

PTERIGIO
E’ una malattia che consiste in una crescita anomala della congiuntiva che può essere causata da una esposizione prolungata ad agenti atmosferici soprattutto al sole e al vento.
Patologie a carico delle VIE LACRIMALI: stenosi dei puntini lacrimali, dacriocistiti acute e croniche.

OCCHIO SECCO
Alterazione del film lacrimale, sia qualitativa che quantitativa, che non riesce a proteggere la superficie oculare.
I sintomi caratteristici sono: senso di corpo estraneo, bruciore, fotofobia (fastidio alla luce), senso di occhio bagnato, prurito, dolore all’apertura delle palpebre al risveglio. La sintomatologia soggettiva aumenta in condizioni ambientali avverse (vento, caldo secco) o da un microclima sfavorevole (fumo, aria condizionata, riscaldamento).

GLAUCOMA
E’ la principale causa di cecità nel mondo occidentale. Si verifica generalmente quando la pressione del liquido che si trova all’interno dell’occhio sale lentamente, danneggiando così il nervo ottico. E’una malattia silente, spesso senza sintomi e viene per questo denominato “il ladro silenzioso della vista.”
Un trattamento precoce può aiutare a proteggere dalla perdita della vista. La terapia generalmente consiste nella prescrizione di gocce di collirio e/o nella chirurgia.
CATARATTA
E’ una opacizzazione del cristallino che porta ad una riduzione della vista.
Il cristallino è una lente biconvessa posta all’interno dell’occhio, dotata di una innata elasticità, di grande trasparenza e di speciali proprietà rifrattive. La sua collocazione è piuttosto anteriore, proprio al di dietro di quel foro al centro dell’iride, comunemente chiamato pupilla, che ad una osservazione sommaria appare di un colore nero profondo.
La principale funzione del cristallino è quella di proiettare i raggi luminosi che attraversano la pupilla sulla porzione sensibile dell’occhio: la retina. Inoltre, sfruttando la sua innata elasticità, un muscolo, chiamato muscolo ciliare, riesce ad alterarne la forma e la posizione in modo da permettere la messa a fuoco di oggetti vicini o lontani.
Questa capacità fornita dal cristallino di mettere a fuoco oggetti ora vicini, ora lontani, viene definita accomodazione e si esplica in maniera riflessa, automatica.
Per sua natura, tuttavia, il cristallino con gli anni tende a perdere l’elasticità riducendo la capacità accomodativa e facendo instaurare quel fenomeno fisiologico per cui gli oggetti vengono messi a fuoco sempre più lontano: la presbiopia. Nel contempo, le fibre che compongono il cristallino si arricchiscono di una sostanza chiamata sodio, che altera leggermente la trasparenza della lente conferendogli una sfumatura ambroide, come una lente gialla fatta per filtrare le radiazioni UV.
Le patologie che colpiscono il cristallino sono principalmente quelle che ne riducono la trasparenza, raggruppate sommariamente in quella che viene definita la cataratta.
Molti sono i tipi di cataratta, tanti quanti i motivi e le modalità con cui il cristallino diventa opaco.

 

Oltre al nome, anche un altro aspetto associa tutte queste patologie: l’unica soluzione per ripristinare una buona visione è la sostituzione del cristallino con una protesi, comunemente chiamate lente intraoculare (intra ocular lent o IOL).

L’intervento più praticato è la facoemulsificazione in situ con contestuale impianto di IOL nel sacco capsulare. Comunemente, tale tecnica viene conosciuta come intervento con il laser, in virtù di alcuni tanto acclamati e ben pubblicizzati apparecchi che utilizzavano questo popolare sistema, ma che ora sono considerati obsoleti in quanto superati da molto più maneggevoli e sicuri facoemulsificatori ultrasonici.
La chirurgia con i moderni apparecchi ad ultrasuoni consente infatti di intervenire su quasi tutti i tipi di cataratta con un minimo stress per l’occhio ed ampie garanzie di sicurezza.
L’utilizzo di presidi tecnologici utili all’inserimento dei cristallini protesici in piccolissimi tagli consente nella stragrande maggioranza dei casi di evitare anche l’utilizzo di qualsiasi sutura garantendo l’efficacia dell’intervento già dopo poche ore.
Restano tuttavia molti casi di cataratta inveterata o complicata in cui l’utilizzo di questi strumenti moderni può essere dannoso e si rivela più sicuro ed efficiente il ricorso alla vecchia tecnica di estrazione del cristallino nella sua quasi totalità con un taglio più largo che richiede alcuni punti di sutura.
La capacità di passare rapidamente dall’una all’altra tecnica assicura anche il buon esito di un intervento nel momento in cui si verifichino complicanze inattese.
La completezza nelle conoscenze tecniche di un chirurgo è la maggiore garanzia di successo che un paziente può augurarsi per il proprio intervento.
Al giorno d’oggi, vista la grande informazione fruita dai pazienti, sono sempre più rari i casi di cataratta inveterata o facilmente soggetta a complicanze e spesso ci si trova nelle condizioni ideali per ricevere un intervento indolore, rapido, senza punti e con la possibilità di correggere anche tutti i propri difetti di refrazione. E’ sempre più diffusa la chirurgia refrattiva della cataratta o chirurgia rifrattiva intraoculare, ovvero, il paziente può acquistare e farsi impiantare al momento dell’estrazione del cristallino, una lente artificiale di ultima generazione capace di correggere oltre ai più semplici vizi di refrazione (miopia e ipermetropia, corretti anche con i comuni cristallini artificiali impiantati ordinariamente), anche notevoli astigmatismi e la tanto odiata presbiopia, rendendo così il paziente totalmente libero dagli occhiali. La mia esperienza in questo ambito riscontra sempre maggiore gradimento nei miei pazienti oltre che grandi stimoli e soddisfazioni in me.

Il corpo vitreo, inteso come l’insieme compatto del contenuto dell’occhio al di dietro del cristallino, ha in giovinezza un suo trofismo proprio, un ordine preciso delle fibrille che lo compongono, una sua omogeneità strutturale.
Tutte caratteristiche che lo rendono stabile all’interno dell’occhio. Vi sono però molteplici cause, molte a noi sconosciute, che turbano l’ordine di questa struttura facendogli perdere le sue caratteristiche gradualmente e con conseguenze alle volte rischiose per il funzionamento dell’occhio.
Succede spesso che la densità del corpo vitreo diventi disomogenea, alternando parti dalla caratteristica consistenza gelatinosa a cavità ripiene di una componente altamente fluida o ad addensati proteici dal colorito grigio o bianco. In entrambi questi casi si può avere la percezione di osservare qualcosa di fronte all’occhio, come filamenti, capelli, moscerini o semplici punti neri che fluttuano beffandosi della forza di gravità nel campo visivo del paziente.
Questi sintomi vengono comunemente definiti miodesopsie ed hanno, per lo più, prognosi benigna, alternando la loro comparsa a lunghi periodi di quiescenza. In alcuni casi, però, la disorganizzazione vitreale porta alla separazione della periferia del vitreo dalla retina lasciando infiltrare in quei punti la componente liquida. Questo fenomeno, di solito, quando comincia progredisce piuttosto rapidamente fino a lasciare, come punti di adesione tra vitreo e retina, alcune sedi caratteristiche rappresentate dalla periferia retinica, una zona anulare in cui le fibrille vitreali aderiscono tanto tenacemente alla retina da non staccarvisi mai, il disco ottico e la fovea.
Quando si raggiunge la separazione della periferia retinica anche dalla fovea e dal disco ottico si parla di distacco posteriore di vitreo (DPV), una situazione frequente e per lo più benigna che, tuttavia, in alcuni casi può causare delle trazioni sulla rétina periferica, a livello di quella base dove non si distacca mai, stimolandola meccanicamente e dando luogo a delle percezioni visive che il paziente riferisce come strisce luminosi o bagliori.
Questi sintomi, detti fosfeni, specialmente quando accompagnati da vistose miodesopsie, caratterizzano il distacco di vitreo sintomatico, una condizione che può svelare la presenza di rotture retiniche, fattori predisponenti per un’altra patologia molto più pericolosa: il distacco di retina.

 

Il distacco di retina è quella condizione nella quale lo strato dei fotorecettori retinici si stacca dall’epitelio cui solitamente è adeso, l’epitelio pigmentato (EPR).

La retina ha la consistenza di un foglietto che, per le sua particolare conformazione microscopica, per potere funzionare e mantenere la vitalità dei recettori alla luce, deve essere legata ad uno strato più esterno che la nutre e la stimola. Normalmente, dunque, la retina ha una forte tendenza ad aderire in tutti i suoi strati e, nel momento in cui si dovesse creare un piccolo distacco, a riattaccarsi quanto prima. Affinché si verifichi il distacco di retina e progredisca devono esserci dei fattori scatenanti e degli stimoli alla progressione. In base a questi si differenziano i diversi tipi di distacco, dei quali i più frequenti sono il distacco di retina primario (anche detto regmatogeno), il distacco di retina trazionale e i distacchi di retina secondari (o essudativi).
Il distacco di retina primario deriva sempre da una patologia del vitreo il quale, instaurando una inaspettata trazione, rompe la retina in uno o più punti, solitamente in periferia, dove è più aderente.
Contestualmente, affinché il distacco avvenga, si manifesti e progredisca è necessario che la trazione sulla rottura non si esaurisca e contemporaneamente si instauri un flusso di liquido che si insinua all’interno della rottura distaccando i fotorecettori dall’epitelio pigmentato. È chiaro che la contemporanea presenza di tutti i fattori, per fortuna, è piuttosto raro, tanto che durante la pratica clinica capita spesso di vedere delle rotture retiniche cui non si associa mai un distacco di retina.
È anche vero, però, che talvolta le condizioni si presentano tutte e la retina inizia a staccarsi: il paziente nota un’ombra che dalla periferia invade il suo campo visivo, partendo da uno qualsiasi degli angoli e procedendo con maggiore o minore velocità, fino a coinvolgere la macula causando la perdita della funzione. Il distacco dall’epitelio pigmentato è per la retina una eventualità drammatica e letale, al punto che dopo pochi giorni dall’instaurarsi del distacco i fotorecettori muoiono e qualsiasi intervento che possa riunire gli strati retinici condurrà a risultati piuttosto deludenti.
Ne deriva che l’intervento in caso di distacco di retina deve essere quanto più tempestivo possibile.
L’approccio chirurgico segue diverse modalità in diverse parti del mondo, con risultati spesso sovrapponibili, in quanto i principi di base sono sempre gli stessi: chiudere la rottura, eliminare le trazioni, interrompere il flusso di liquido.
Personalmente mi oriento verso un approccio piuttosto che un altro in funzione dello stato del vitreo: se questo è ancora organizzato e denso e la rottura è piccola e localizzata, ritengo che la chirurgia extraoculare minimamente invasiva, basata sull’applicazione di una spugna di silicone (piombaggio) indentante la sclera in corrispondenza della rottura precedentemente trattata con crioterapia sia sufficiente a raggiungere un ottimo risultato correndo pochi rischi chirurgici.
Se invece è già presente un distacco di vitreo con rotture grosse, trazioni e perdita di molte cellule in camera vitreale, ritengo più indicato un approccio endoculare (vitrectomia 23G, criopessia, endotamponamento con gas), che grazie alle nuove tecnologie, si esegue entrando nell’occhio con strumenti di diametri tali da non richiedere suture e con tempi di esecuzione molto contenuti. 



 

Con questo termine si riuniscono alcune patologie caratterizzate dalla presenza a livello maculare, nello spazio virtuale che si crea tra macula e corpo vitreo, di forze che trazionano i tessuti nobili della retina in senso antero-posteriore o tangenziale causando perdita della forma anatomica, spostamento del tessuto sensibile, rotture retiniche e morte cellulare.
A seconda di come si manifesti il quadro patologico si identificano diverse forme.
La forma più frequente è quella caratterizzata dalla presenza di una membrana adesa alla macula, una membrana epiretinica, che in moltissimi casi è talmente esile da non causare alcuna trazione reale sulla retina e viene rilevata solo dall’oculista durante l’esame del fondo oculare.
In altri casi, invece, tale membrana è più densa e robusta (pucker maculare) e le trazioni che crea sollevano il tessuto retinico causando riduzione della funzione visiva (le immagini appaiono sfocate), dislocazione del tessuto (le immagini appaiono distorte, ingrandite o rimpicciolite) e, dopo un certo periodo, morte dei fotorecettori con definitiva riduzione della capacità visiva. 
In altri casi ancora la trazione può causare rottura della retina a livello maculare con la formazione di un foro che, nelle prime fasi, si manifesta con un alone centrale, un’area sfocata al centro del campo visivo, poi con un area cieca, un punto nero più o meno grande, nel posto dove si trovava il primo difetto, il tutto frequentemente accompagnato da distorsioni delle immagini attorno all’area maggiormente interessata.
Il paziente può facilmente individuare una patologia maculare attraverso il test di Amsler, un esame di semplice esecuzione che può essere scaricato e stampato gratuitamente anche da questo sito. Tutte le patologie dell’interfaccia vitreo-retinica sono attualmente trattabili con interventi chirurgici mini-invasivi che risolvono la situazione causante la patologia arrestandone l’avanzamento e, in molti casi, riducendo la sintomatologia e aumentando l’acuità visiva.

Perchè usiamo gli occhiali ?
Classicamente l’uso degli occhiali da vista o delle lenti a contatto servono a correggere i cosidetti “vizi di refrazione”.
I vizi di refrazione non sono altro che difetti della vista imputabili ad una disarmonia dei rapporti geometrici tra le lenti che formano l’occhio e la sua dimensione complessiva, tale da proiettare all’interno del globo un’immagine
della realtà più o meno sfocata.
Come nei sistemi ottici artificiali ad esempio le macchine fotografiche, la messa a fuoco di un immagine si regola agendo su una lente all’interno dell’apparecchio, allo stesso modo nell’ occhio questi “vizi” possono essere corretti con delle lenti poste di fronte al globo aculare.
Un modo facile per identificare i diversi vizi di refrazione è in base alle lenti utilizzate per correggerli.
Si parla dunque di:
– Miopia: quando la lente correttiva ha un profilo sferico ed un valore negativo.
– Ipermetropia: quando la lente correttiva ha un profilo sferico ed un valore positivo.
– Astigmatismo: quando la lente correttiva ha un profilo cilindrico, indipendentemente dal valore. Erroneamente, probabilmente perché anch’essa si avvale di lenti correttive, ai vizi di refrazione viene accomunata la presbiopia, un normale processo di
sviluppo dell’occhio che porta lentamente ad allontanare il punto più vicino a cui un oggetto viene messo a fuoco all’interno dell’occhio.

Correzione chirurgica dei vizi di refrazione
– Chirurgia refrattiva
Gli enormi passi avanti compiuti dagli strumenti chirurgici e dai materiali biocompatibili utilizzabili a tal fine consente ora di correggere chirurgicamente e con ottimi risultati quasi tutti i difetti refrattivi e, talvolta, anche la presbiopia.
Attualmente si tende a considerare fondamentalmente due approcci chirurgici:
– Chirurgia extraoculare con tecnica laser: sono interventi che agiscono prevalentemente sulla superficie anteriore dell’occhio, la cornea, cambiandone la capacità di curvare i raggi di luce che la attraversano in modo da correggere definitivamente il vizio di refrazione. Attualmente sono eseguiti tutti con l’ausilio di un laser controllato da un potente computer, dal momento che le metodiche che si avvalgono di questo strumento si sono rivelate di gran lunga le più affidabili e sicure.
 Chirurgia intraoculare: questi interventi, più delicati ed invasivi dei precedenti, sono indicati per vizi di refrazione non trattabili con la tecnica extraoculare e offrono la possibilità di correggere pressappoco qualsiasi difetto, compresa la presbiopia. Si
basano sull’applicazione all’interno dell’occhio di una lente correttiva posta anteriormente al cristallino o al posto di quest’ultimo. Tale tipo di chirurgia può agevolmente essere accoppiato all’intervento chirurgico di estrazione della cataratta,
aumentandone il beneficio per il paziente affetto da questa comune patologia.

Vuoi un appuntamento?

Verrai ricontattato rapidamente per la conferma.